Stefano Baccari, giardiniere paesaggista
Un creativo con le radici saldamente nel terreno, un paesaggista che osa, e che riesce con i suoi progetti a integrare il nuovo con l'esistente, in un gioco perenne di ricostruzione della naturalità della natura. Stefano Baccari ha fatto delle piante un lavoro, e semplicemente attraverso quello vive una vita naturalmente verde.
MOLINO PASINI Essere sostenibili, per lei, che cosa significa?
STEFANO BACCARI Mi sento sostenibile per il solo fatto di dedicarmi a questo lavoro, che faccio da 35 anni.
Ed è da sempre che con le persone che lavorano nel mio studio siamo attenti alle variazioni climatiche nella scelta delle piante, stiamo attenti alle loro necessità idriche e al renderle il più possibile integrate al territorio in cui le andiamo ad inserire.
Il cambiamento climatico in atto è evidente, la natura non mente: le piante non hanno questa abitudine. E questo ci ha permesso di integrare alle nostre anche delle specie sub tropicali che a questo punto trovano un adattamento anche qui da noi.
Io amo sperimentare e in ogni progetto mi lascio sempre un 20% di libertà, per conoscere cose nuove e vedere come si adattano, con la consapevolezza che possa anche andar male.
MP Come si diventa paesaggisti?
SB Il mio lavoro è nato per passione, e forse un po' per caso: in realtà mi sono trovato con un terreno sul lago e per sistemarlo ho chiamato un paesaggista e una botanica. È stata una sorta di illuminazione: da quel momento mi sono messo a studiare e abbiamo creato su uno studio insieme, dove abbiamo lavorato per dieci anni. Lei è stata il mio mentore, Cristiana Serra Zanetti. Adesso proseguo la mia attività con tante persone, con diversi tipi di formazione: qui ci sono agronomi, botanici, grafici, architetti. Mi piace essere in contatto con persone giovani capaci di portare idee fresche e in più mi piace molto dare spazio a persone che se lo meritano.
Oggi questa è diventata una professione, ma 35 anni fa c'era molta meno attenzione al mondo del verde e questa specializzazione è arrivata molto tardi nelle nostre università, rispetto a quanto successo in Francia e in Inghilterra.
MP Quali sono i punti fermi immancabili all'interno dei suoi progetti verdi?
SB Per me è imprescindibile l'attenzione al paesaggio circostante e al genius loci.
Mi preme innanzitutto capire quello che c'è già e da lì partire.
La creatività aiuta, come è indispensabile la conoscenza delle piante: ma l'osservazione del posto è quello che ti dà la marcia per andare avanti, ogni posto ha il suo cuore, il suo intimo che va colto per procedere.
Con soddisfazione posso dire che mi fido di questa mia sensazione da cui mi faccio guidare: è questa sensazione che ti fa sviluppare il progetto, poi arrivano anche le difficoltà, ma quelle si risolvono.
MP Quali caratteristiche deve avere un paesaggista?
SB La conoscenza ti aiuta, non è un mestiere creativo. Ma soprattutto servono sensibilità e pazienza. I clienti vogliono vedere subito il risultato: è difficile fargli capire che un albero ha la sua bellezza anche da giovane e che serve del tempo per costruire un progetto con le piante.
Sicuramente è più difficile il rapporto con il cliente del rapporto con la natura.
MP Il paesaggista snatura la natura?
SB Beh, forse. Può essere. In realtà dipende molto da come interpreti il tuo lavoro.
Per me è fondamentale ricostruire piccoli universi di natura dove le piante si sentano in armonia tra loro e con l'ambiente circostante.
Se invece tratti le piante come strutture da plasmare, per creare geometrie o, come succede nell'arte topiaria, per esempio, hai delle forzature. Ma si scelgono per questi progetti specie che non soffrono e attraverso le piante si costruiscono le forme.
A me adesso piacciono le forme libere ma ci sono stati momenti nella storia in cui le strutture avevano un loro senso e l'aspetto geometrico era l'idea di base del paesaggio
costruito e non naturalistico.
Dipende insomma da come uno interpreta il suo lavoro e anche dal tipo di domanda: ogni lavoro ha il suo seme e da lì viene fuori l'idea.
MP Il grano: è possibile integrarlo all'interno di un progetto domestico? Come?
SB Noi abbiamo fatto degli orti su dei tetti milanesi e delle istallazioni in cui il grano era presente. È una bellissima pianta ma ha due punti su cui prestare attenzione: è stagionale e ha bisogno di tanto spazio.
Di sicuro sta meglio nei campi che nei vasi.
Se avessi la possibilità di lavorare con il grano ma in un campo, quindi nel suo luogo naturale, mi piacerebbe moltissimo
Mi ricordo di averlo usato in case di design perché è divertente: usato come pianta ornamentale è inusuale insieme ad altre piante fiorite.
MP Ci suggerisce dei giardini o dei progetti verdi che non possiamo assolutamente perdere?
SB Il giardino di Citylife a Milano è forse uno dei progetti recenti che più mi ha colpito: ci sono cose che non avevo mai visto in un giardino pubblico e sono veramente contento di questo desiderio della mia città di dare spazio a cose di questo tipo.
Anche quello delle varesine è un progetto interessante con un verde innovativo. Come va visto l'orto botanico di Brera, perché ci sono tante cose sperimentali, e il giardinetto della Bicocca di Marco Bay, proprio all'entrata del museo.
Tra i giardini più belli al mondo per me ci sono il Parc André-Citroën e il Musée du quai Branly, entrambi a Parigi ed entrambi di Gilles Clement, un vero ispiratore, autore di tanti libri bellissimi sul tema.
Un altro lavoro che mi piace molto è una vigna in Toscana, pensata dal paesaggista spagnolo Fernando Caruncho: di solito la vigna è molto grafica perché è funzionale per la lavorazione dell'uva. Lui invece ha fatto una vigna tutta a curve e mi ha molto colpito perché ha dato una cosa in più alla vigna e l'ha inserita in un paesaggio come una cosa straordinaria e nuova.
E poi Ninfa e Bomarzo, i giardini di villa Hanbury e il nuovo giardino ad Atene della Fondazione Niarchos.
MP La sua ricetta (a base di farina!) preferita?
SB I panettoni di Pasini mi piacciono sempre molto. Il mio dolce preferito è la torta di banane.
Mi piace molto cucinare ma in questo momento non ho una cucina che si presta ed è tanto che non mi ci dedico, però mi piace molto.
Di sicuro preferisco cucinare che mangiare!
Fotografia di Dario Fusaro